Cimiteri d’Italia – la Lombardia

HERMES funeraria ha già visitato i cimiteri e le tradizioni cimiteriali milanesi in maniera molto diffusa; dedichiamo con questo articolo la giusta attenzione anche alle altre province della Lombardia.

Cimitero monumentale di Bergamo

Il cimitero monumentale di Bergamo è il camposanto principale della città di Bergamo. È stato progettato da Ernesto Pirovano ed Ernesto Bazzaro e costruito tra il 1896 e il 1913 in stile eclettico nel quartiere di Borgo Palazzo.

Fino al 1896 si possono notare due dei tre cimiteri ottocenteschi di Bergamo: a Santa Lucia (ovest) e Valtesse (nord)

L’editto di Saint Cloud del 12 giugno 1804, applicato anche in Italia a seguito delle conquiste napoleoniche, vietava la tumulazione dei defunti all’interno delle chiese e prevedeva che le aree cimiteriali fossero edificate al di fuori delle mura cittadine.

Tre cimiteri vennero quindi aperti a Bergamo nel 1810: uno nella zona di Santa Lucia, oggi via Nullo, un altro in Valverde e il terzo nella piana di San Maurizio.

Datano al 1892 le prime voci circa l’intenzione di accorpare in unico complesso i quattro piccoli campisanti esistenti in città. Il 17 ottobre 1896, un bando di concorso nazionale invitava architetti, ingegneri e artisti a presentare il progetto del Cimitero unico da costruirsi accanto a quello esistente di S. Maurizio. Quest’ultimo sarà inglobato nel nuovo impianto e destinato alle sepolture dei bambini.

Il primo, dimostratosi inadatto, venne chiuso dopo pochi anni e sostituito dal nuovo camposanto di San Giorgio alla Malpensata.

Secondo il bando l’ingresso monumentale, doveva servire da famedio e ospitare un atrio/peristilio, le sale di necroscopia e di osservazione, gli uffici del custode e di contabilità, due entrate a porticato, l’alloggio del custode e del capo seppellitore e una cappella per i riti funebri. L’architetto milanese Ernesto Pirovano vinse il bando per la realizzazione del nuovo cimitero – nonostante un preventivo ben superiore alle 150.000 lire previste. L’esproprio dei terreni impegnò l’amministrazione fino al 1900, quando prese avvio il cantiere. I lavori si dimostrarono difficoltosi e furono sospesi nel 1905 per riprendere nel 1910, ora affidati all’impresa edile dello stesso Pirovano, per concludersi nel 1913. Le prime sepolture nella nuova struttura iniziarono nel 1904.

Il cimitero monumentale è situato nell’area nord-est della città, collegato da un lungo viale a via Borgo Palazzo. Una piazza anticipa l’imponente prospetto rivestito in ceppo di Brembate, composto da un corpo semicircolare su alto podio e da due ali rettilinee corrispondenti agli ingressi. L’asse centrale è sottolineato dalla scalinata in cima alla quale si eleva il volume tronco piramidale del famedio, collegato alle cappelle laterali da colonnati, decorati inferiormente da un anello con foglie d’edera e bacche, motivo riproposto nel cancello in ferro battuto ideato dal milanese Enrico Colombo. Ai fianchi del portale d’ingresso al famedio, una fascia a bassorilievo in ceppo gentile illustra il “Miserere”, opera dello scultore Ernesto Bazzaro; gli altri elementi decorativi sono di Emilio Buzzetti.

Nel secondo dopoguerra venne modificata la struttura della cappella e costruito l’avancorpo ad est, su progetto dell’Ufficio Tecnico Comunale.

Pirovano progetta una struttura in stile eclettico, con un ingresso monumentale sovrastato dal Famedio, dove sono raccolte le spoglie dei bergamaschi più illustri, tra cui il letterato Ciro Caversazzi, il politico Angelo Mazzi, i compositori Antonio Cagnoni e Alessandro Nini, e il maestro Gianandrea Gavazzeni. Oltre a loro, riposano al cimitero monumentale di Bergamo il sociologo e politico cattolico Nicolò Rezzara (1848-1915), l’aviatore Antonio Locatelli (1895-1936), lo stilista Nicola Trussardi, Giulia Gabrieli (1997-2011), il calciatore Piermario Morosini (1986-2012) e l’artista Trento Longaretti (1916-2017).

Il cimitero monumentale di Cremona

Il cimitero di Cremona fu costituito nel 1809 fuori dalle mura della città, cinto da un semplice muro perimetrale, nel rispetto del decreto napoleonico,l’editto di Saint Cloud. Il primo progetto di cimitero monumentale venne redatto nel 1821 dall’architetto cremonese Luigi Voghera (1788-1840), interprete e fautore del gusto neoclassico imperante a Cremona per tutta la prima metà dell’Ottocento: sviluppato su di un campo quadrato, prevedeva la costruzione lungo il perimetro di un portico ininterrotto suddiviso in piccole cappelle di famiglia chiuse su tre lati da cancelli in ferro battuto, mentre il campo centrale era destinato alle inumazioni.

Il costo elevato e la scadente manifattura delle celle gentilizie, appaltate ad un solo costruttore e realizzate in numero limitato agli angoli del quadrato, la mancanza di colombari, di ossari e dei necessari spazi di servizio suscitò un certo malcontento tra la borghesia emergente. Di questi sentimenti si fece interprete l’architetto Carlo Visioli (1798-1881) presentando agli organi municipali, tra il 1849 ed il 1864, diverse proposte di modifica al disegno del cimitero, che tuttavia non furono mai accolte.

Finalmente, nel 1862 il Comune bandì un concorso per l’ampliamento del Civico Cimitero, al quale parteciparono quattro autori. Fu scelto il progetto dell’architetto e scenografo cremonese Vincenzo Marchetti (1811-1894), che aveva disegnato il raddoppio a monte del quadrato del Voghera e due ampie aree semicircolari ai fianchi. Al centro del campo così immaginato il progetto prevedeva due grandi costruzioni a forma di croce, addossate alle cappelle realizzate negli angoli a nord del vecchio cimitero. Le due crociere erano collegate fra loro da un tempio con pianta a croce greca. I due larghi emicicli laterali erano occupati da porticati per colombari intervallati da celle di famiglia. L’ingresso principale a meridione era caratterizzato da un ampio vestibolo nel quale erano poste le scale per accedere ad una lunga teoria di corridoi sotterranei.

I quattro androni di ciascuna croce, uniti al centro da un ottagono a cupola, erano studiati per contenere 3840 colombari disposti in dieci file sovrapposte ed altri 1340 colombari nelle gallerie sotterranee raggiungibili tramite scale a chiocciola. Le testate degli androni erano state disegnate dal Marchetti a forma di arco di trionfo, con quattro colonne scanalate d’ordine ionico che sostenevano una decorazione decorata a festoni sopra la quale era posto, al centro, un gruppo statuario a due figure.

Nel 1866 si diede inizio alla costruzione di un primo braccio della croce di ponente, terminato solo sette anni dopo, della abitazione del custode, a fianco dell’ingresso principale, e del nuovo muro di cinta. Tutti gli edifici vennero rivestiti e pavimentati con marmo Botticino e le coperture realizzate con grandi lastre di pietra di Luserna, mentre per la chiusura dei colombari negli androni vennero impiegate lapidi in marmo bianco di Carrara e contorni in marmo nero di Varenne.

Per rimediare alla dispendiosità del progetto ed agli inconvenienti igienici dovuti alla scarsa ventilazione e alla umidità delle gallerie sotto terra, il Comune incaricò il Marchetti di modificare il suo lavoro.
Lo studio di un nuovo ampliamento del cimitero fu disposto nel 1895 e l’incarico lo assunse Davide Bergamaschi (1826-1904), architetto e professore di disegno. Il nuovo progetto ridusse la pianta alla forma rettangolare odierna sostituendo gli emicicli laterali con nuovi campi che riproducessero il disegno del vecchio recinto Voghera, e modificò la cancellata e i due fabbricati dell’ingresso.

Nel 1917 venne terminata la costruzione della chiesa-padiglione progettata dall’architetto milanese Ernesto Pirovano, collocata al centro delle due grandi croci. Il nuovo monumento non svolse mai la funzione per la quale era stato realizzato in quanto la chiesa inferiore era troppo angusta e quella superiore in posizione troppo elevata ed esposta alle intemperie, ma divenne il simbolo del cimitero.

Nel 1922 fu innalzato il terzo braccio della croce di ponente e si completò quella di levante con il quarto androne e la cupola dell’ottagono centrale. La costruzione delle grandi croci si concluse solo nel 1931 con l’ottavo ed ultimo androne, completo del piano sotto terra. La costruzione delle scale per l’utilizzo di altre quattro gallerie sotterranee fu realizzata nel 1945.

Dal giorno della sua costituzione, il cimitero monumentale di Cremona ha visto diversi architetti avvicendarsi nella progettazione dei suoi spazi, ma quasi per una sorta di rispetto verso il primo e più celebre di loro, Luigi Voghera, tutti hanno contribuito al suo sviluppo ordinato e stilisticamente omogeneo.

Il cimitero di Brescia

Il cimitero di Brescia, il primo cimitero monumentale italiano, prototipo di tutti i cimiteri neoclassici dell’Ottocento, è opera che impegnò il progettista, l’arch. Rodolfo Vantini per tutta la vita e che i bresciani presero a chiamare semplicemente “Vantiniano”. All’interno del complesso monumentale è presente la torre del faro: una colonna alta 60 metri culminante con una grande lanterna. Durante una vista l’architetto tedesco Heinrich Strack, rimase talmente colpito da realizzare una copia per la città di Berlino: l’odierna Colonna della Vittoria. Strack confessò: “di essere rimasto colpito dal capolavoro del Vantini e di non aver saputo creare nulla di più bello”.

Realizzato dal 1813 in poi, fu la prima opera di Rodolfo Vantini. Dopo le leggi napoleoniche, a Brescia si decise di portare i morti in un campo fuori dalle mura di San Giovanni (verso Porta Milano). Qui le tombe vennero allestite in modo sommario, quindi si decise la costruzione di strutture più adeguate: inizialmente venne eretta una chiesa fino a quando, nel 1813, non venne dato incarico all’architetto Rodolfo Vantini di procedere con un progetto compiuto.

Il Vantiniano è un’opera di grandissima importanza poiché fu il primo cimitero monumentale italiano, prototipo di tutti i cimiteri neoclassici dell’800. L’opera impegnò il suo ideatore per tutta la vita.

La cappella centrale è dedicata a san Michele e in linea si trova la grande torre faro con in cima una lanterna di 60 metri di altezza; terminata nel 1864, ospita la statua di Rodolfo Vantini, realizzata dallo scultore Giovanni Seleroni.

Nel cimitero di Brescia sono state trasferite, per volontà pubblica della cittadinanza di Brescia, le spoglie del grande pittore Francesco Filippini, che fu inizialmente tumulato nel Cimitero Monumentale di Milano alla sua morte avvenuta il 6 marzo 1895.

Nel Riquadro Islamico è sepolta Hina Saleem, ragazza divenuta tristemente nota per essere stata uccisa e occultata dal padre e da altri parenti per non essersi adeguata ai costumi tradizionali pakistani.

Nelle tavole predisposte da Rodolfo Vantini per la pubblicazione di Il Campo Santo di Brescia, Brescia 1855, compare la monumentale aula del Pantheon, definita “Sala nell’Emiciclo in fondo al Cimitero destinata a contenere i monumenti degli illustri bresciani”, collocata appunto nell’emiciclo di chiusura dell’intero Campo Santo e in asse con il monumento a tronco di piramide del beato Giuseppe Bossini (1843-1856), il faro-lanterna (1847-1864) e la chiesa di San Michele. Dopo l’esperienza della cosiddetta Rotondina Comunale (collocata nella cella 8 al termine del portico orientale della facciata del Vantiniano), nasce il Pantheon, così com’è scritto sull’architrave esterno della sala, un vero e proprio Famedio comunale in cui collocare cenotafi, monumenti e iscrizioni in memoria di cittadini illustri.

Nel marzo del 2015 la Giunta comunale ha deliberato di riprendere quella nobile idea. Con deliberazione numero 34 del 16 marzo 2015 il Consiglio comunale ha approvato il “Regolamento per le onoranze al Famedio”. Ai sensi dell’art. 2 del Regolamento sono cittadini illustri “coloro che abbiano meritato per opere letterarie, scientifiche, artistiche o per atti insigni, o che si siano distinti particolarmente nella storia patria. Cittadini benemeriti sono coloro che abbiano arrecato alla città particolare lustro e beneficio”. Ogni anno, il 9 novembre, giorno della posa della prima pietra del Cimitero Vantiniano, si procede al ricordo dei cittadini illustri o benemeriti deceduti l’anno precedente, mediante apposizione dei nominativi su lapide commemorativa.

Il cimitero di Pavia

Il cimitero monumentale di Pavia sorge a est del centro storico cittadino, in località San Giovannino: in ragione di ciò, il cimitero è spesso designato dalla suddetta denominazione “cimitero di San Giovannino”.

La costruzione del cimitero risale verso la fine del XVIII secolo, quando il comune di Pavia sentì la necessità di costruire un nuovo camposanto; la scelta ricadde nel quartiere di San Giovannino, allora caratterizzato per lo più da vigneti ed una chiesetta intitolata a San Giovanni delle Vigne.

Tutto ebbe inizio nel 1788, anno in cui l’Ospedale cittadino dovette porre rimedio ad un impellente problema: il vicino cimitero annesso all’Ospedale stesso, chiamato “Cimitero del Liano“, era piccolo e saturo di sepolture. Lo scenario era il seguente: enormi fosse comuni traboccanti di salme in decomposizione. Ma la pagina più grottesca doveva ancora arrivare. Di lì a poco difatti le strade cittadine furono invase da sfilate nauseabonde di carri goffamente carichi di corpi decomposti, scheletri e brandelli di membra. A condurre i carri i becchini del paese che, molto spesso, distratti a brindare in qualche bettola, finivano per abbandonare i carri dello scempio ai bordi delle strade. Inutile dire che lo sgomento cittadino fu tanto al punto da indurre il comandante militare di Pavia ad arrestare tutti i becchini. Le strade di Pavia furono per mesi protagoniste di viavai di carri agricoli scoperti, aventi il compito di trasportare i cadaveri nel nuovo camposanto; esalazioni maleodoranti ed incidenti provocati dalle continue cadute delle ossa dai carri rappresentarono disagi frequenti in quel periodo. Il comando militare di Pavia decise, ad un certo punto, di sospendere le traslazioni, soprattutto per via della lentezza dei becchini, nell’attesa che il nuovo cimitero venisse in definitiva ultimato. Frettolosamente si pensò ad una soluzione; nella località di san Giovannino una vasta area coltivata a vigneti sembrava adatta ad ospitare il progetto di un degno camposanto cittadino, e così fu.

Il 7 novembre 1798 vi fu l’inaugurazione in presenza di una gran folla di pavesi e del prevosto locale, che celebrò una Messa solenne. Inizialmente, il cimitero fu costituito da un semplice muretto ricoperto di tegole e chiuso da un grande cancello in ferro battuto. All’inizio non fu un camposanto ampiamente utilizzato, per il fatto che gran parte dei pavesi non volevano che i loro cari defunti venissero sepolti lontano dalle chiese del centro; a quei tempi, nobili e borghesi preferivano inumare i loro familiari presso chiese e conventi di loro proprietà, oppure presso i loro stessi terreni. Per quasi cent’anni, il cimitero di Pavia fu un campo incolto, con fosse scavate senza un ordine preciso, in un terreno mal livellato e senza ripari contro le intemperie.

Poco tempo dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia, il comune di Pavia diede inizio a lavori di miglioramento, trasformando il vecchio campo nell’odierno cimitero; tale incarico venne prima affidato all’architetto milanese Vincenzo Monti e dopo la morte di quest’ultimo ad un suo allievo, Angelo Savoldi. I lavori iniziarono il 29 agosto 1879 e terminarono nel 1912. Nell’atrio del monumento venne realizzato un piccolo Pantheon dei cittadini di Pavia più illustri, con i loro nomi incisi su lapidi di marmo.

Cimitero monumentale di Legnano

Il cimitero monumentale di Legnano si trova lungo corso Magenta, nella periferia sud della città, ed è stato inaugurato nel 1898.

Legnano è anche dotata di un cimitero parco, che è di più recente costruzione e si trova alle porte della città. La sua costruzione fu decisa negli anni sessanta perché il cimitero monumentale era divenuto insufficiente per le esigenze della comunità. È stato inaugurato il 15 luglio 1979, ed ha una superficie di 60.000 m2[1].

Le tracce più antiche di sepolture trovate a Legnano sono delle necropoli di epoca preistorica. I resti di un primo vero e proprio cimitero, inteso nel senso moderno del termine, sono però di epoca romana, e sono delle inumazioni rinvenute nella periferia ovest della città. Più precisamente, sono state trovate delle urne cinerarie e l’Ustrium, cioè la fossa dove gli antichi romani cremavano i propri morti.

Con la costruzione dei primi edifici cristiani sorse il problema di individuare aree ben precise per le sepolture, dato che si iniziò a seppellire i morti nei pressi dei templi. La nuova religione infatti imponeva la sepoltura della salma completa, vietando la cremazione. Il luogo della sepoltura era stabilito in base alla classe sociale a cui apparteneva il defunto. Più precisamente i nobili erano inumati all’interno del perimetro delle chiese, mentre defunti del popolo erano sepolti in fosse comuni al di fuori dei suddetti edifici religiosi. Nel medioevo i templi legnanesi che erano maggiormente interessati al fenomeno, erano la chiesa di San Martino, la chiesa di Sant’Ambrogio e soprattutto la chiesa di San Salvatore, cioè l’edificio religioso che si trovava dove ora sorge la basilica di San Magno ed a cui la comunità legnanese faceva riferimento prima della costruzione della Basilica appena citata. Quest’ultimo camposanto era ubicato nell’odierna piazza San Magno, e continuò ad essere adoperato anche dopo la costruzione della basilica. Successivamente fu realizzata una grande stanza sotterranea dove venivano inumati i defunti; questa decisione fu presa perché il Richini nel 1610 spostò l’ingresso della basilica dalla posizione originale, che dava verso l’attuale municipio, all’odierna, cioè verso il lato ovest del tempio. Questo cimitero era conosciuto come “il foppone” e fu utilizzato fino al 1808. Infatti, dopo una disposizione dell’imperatore Giuseppe II emanata nel 1786 che vietava l’uso delle fosse comuni, a cui seguì un’analoga ordinanza di Napoleone, la comunità legnanese fu obbligata a dotarsi di un nuovo cimitero fuori del centro abitato.

Questo camposanto aveva una superficie iniziale di 3.000 m2, successivamente aumentati a 5.500 m2, e si trovava nell’area ora occupata dalle scuole Bonvesin della Riva, vicino al santuario della Madonna delle Grazie. Tra il 1808 ed il 1898 accolse le spoglie di 21.896 legnanesi. Le tombe presenti erano di semplice fattura, ed erano generalmente formate da una lapide con l’iscrizione. Solo poche sepolture possedevano una sorta di edicola in cui era dipinto il volto del defunto. All’epoca della dismissione del vecchio cimitero, tre di questi ultimi sono stati tolti dalla posizione originaria ed ora sono esposti al Museo civico della città. Raffigurano i pittori legnanesi Antonio Maria Turri, Beniamino Turri e Mosè Turri. L’ubicazione del vecchio cimitero fu scelta in tale posizione perché la via era praticata solitamente dai legnanesi per recarsi alla chiesa menzionata.

L’antico cimitero di Legnano, che si trovava nell’area ora occupata dalle scuole Bonvesin della Riva, vicino al santuario della Madonna delle Grazie. È stato in uso dal 1808 al 1898, cioè fino a quando venne inaugurato il cimitero monumentale di Legnano

A causa dell’incremento di popolazione di fine XIX secolo, l’Amministrazione comunale di Legnano decise di costruire un nuovo cimitero, l’attuale monumentale, poiché quello vecchio non poteva più essere ingrandito per via delle strade e delle abitazioni che sorgevano intorno.

Il cimitero

L’odierno cimitero monumentale fu inaugurato il 24 luglio 1898 ed aveva una superficie iniziale di 18.942 m2. Furono previsti dei colombari che accolsero, tra l’altro, le spoglie dei legnanesi sepolti nel vecchio cimitero, mentre le salme inumate nelle tombe più ricche, cioè quelle provviste di edicole, vennero posizionate lungo i viali principali. Progettato dall’ing. Renato Cuttica, il nuovo cimitero monumentale fu provvisto di abitazione del custode, depositi e camera mortuaria. Nei pressi delle mura della recinzione vennero posizionate le cappelle delle famiglie legnanesi più abbienti, mentre al centro del camposanto venne edificata una cappella in arenaria di color grigio per i credenti. In fondo al vialone principale vennero invece seppelliti i caduti delle guerre.

Il cimitero monumentale fu ampliato nel 1907 fino ad una superficie di 50.000 m2. Nell’occasione furono costruiti nuovi colombari, nuovi campi di sepoltura ed una nuova area adibita a fossa comune. Dopo la seconda guerra mondiale, data l’esplosione demografica che interessò Legnano, il camposanto fu insufficiente ad ospitare le nuove salme. Il Comune di Legnano decise quindi, nel 1976, di costruire un nuovo cimitero, nella periferia della città, nel quartiere di San Bernardino. Questo nuovo camposanto, pensato e realizzato come un “cimitero parco”, è stato inaugurato il 15 luglio 1979 ed accoglie ancora oggi le salme dei defunti legnanesi. Dal 15 gennaio 2013 è operativa una convenzione stipulata con il movimento Difendere la vita con Maria per garantire la sepoltura dei bambini non nati.

Nel cimitero monumentale riposano, tra le altre, le spoglie di Mauro Venegoni, un esponente della resistenza legnanese vittima dei nazifascisti[7], di Gianfranco Ferré, uno dei più famosi stilisti italiani di Felice Musazzi fondatore, regista ed attore della compagnia teatrale dialettale de I Legnanesi e di Franco Tosi, imprenditore fondatore dell’omonima azienda meccanica.

 

Cimitero Monumentale di Lecco

Il Cimitero Monumentale a Lecco è un museo a cielo aperto. Luogo della memoria dove trovano riposo l’Abate Stoppani, Antonio Ghislanzoni.

Forse pochi sanno ma racchiude opere in marmo e bronzo di noti artisti lecchesi e non, che risalgono anche a fine Ottocento. Per il suo valore artistico è stato inserito dal 2010 nella European Cemeteries Route.

Un’ampia area suddivisa in maniera ortogonale con quattro campi destinati alle sepolture comuni, sui lati perimetrali sepolture private temporanee e perpetue e sul fronte meridionale, a ferro di cavallo, le cappelle per sepolcri di famiglia, al cui centro e frontale rispetto al porticato di ingresso trova spazio una cappella ottagonale con cupola a padiglione.

Luogo della memoria e degli affetti, il Cimitero Monumentale, inaugurato nel 1882, ospita scultore e bassorilievi di noti artisti, tra i quali si ricordano Giulio Branca ( 1850 -1926) le cui opere variano tra i modelli del tardo-classicisimo e i modi pittorici della scapigliatura, Francesco Confalonieri (1850 – 1925) classicista e con il maggior numero di opere presenti, Emilio Agnati (1875 – 1939), Giannino Castiglioni (1884 – 1971) di cui Lecco ospita anche l’imponente monumento ai Caduti sul lungolago, Pablo Atchugarry, Giuseppe Milani. Non solo questi, ma tanti altri trovano posto con le loro opere in questo luogo della memoria privata e collettiva della città.

Nomi noti sono trovano riposo al monumentale, tra questi il celeberrimo Abate Antonio Stoppani, geologo e naturalista lecchese scrittore del Bel Paese, i fratelli Carlo e Giusepep Torri-Tarelli che parteciparono alla spedizione dei Mille, Antonio Ghislanzoni, il librettista lecchese dell’Aida di Verdi.