La dignità del fine vita

Il dibattito sulla legge del Fine Vita, un tema così profondo e sensibile,  mette a confronto le  culture diverse della nostra società pluralista. Un confronto che resta difficile in un Paese dove non c’è una cultura dell’alleviamento del dolore e dove l’accesso alle cure palliative è lacunoso e in alcune aree praticamente assente. Nella nostra società non c’è informazione né educazione sul morire e si è persa la sapienza e la naturalezza con cui in passato si affrontava questo doloroso passaggio.

Sia coloro che ritengono ci sia un “diritto all’eutanasia”,  sia quelli che sostengono la conservazione della “vita ad ogni costo”,  non  forniscono un discorso convincente e articolato. Entrambi i fronti stanno mettendo paletti per rallentare o bloccare la legge che stiamo discutendo da mesi alla Camera. Questa legge non intendeva mettere in campo filosofie e religioni; questa legge riguarda norme in materia di consenso informato e dichiarazione di volontà anticipate nei trattamenti sanitari.

La legge di “fine vita” è una iniziativa parlamentare volta a salvaguardare la identità individuale nel caso di futura incapacità di decidere. Simili disposizioni sono già in atto in Germania, Gran Bretagna, Irlanda e Spagna, senza che questo abbia comportato l’introduzione dell’eutanasia.

E’ un adeguamento al consenso libero ed informato  alle terapie proposte dal medico, che già oggi siamo chiamati a condividere in caso di interventi chirurgici; o alla libertà di rifiutare terapie che si ritengono non adeguate o non condivise. Si tratta in particolare di specificare se si accetta o meno la somministrazione di farmaci per lenire il dolore, anche quando questi avessero come effetto collaterale di abbreviare la vita del paziente, e di indicare se si desidera che i trattamenti per il prolungamento della fase terminale della vita siano tralasciati o sospesi quando la loro efficacia fosse ridotta al semplice ritardare il momento del decesso.

Tutto ciò in coerenza con l’art. 32 della nostra Costituzione che dice: “La Repubblica tutela la salute come fondamenta diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinate trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Cosa dice la legge:

L’art. 1 ha come oggetto il consenso informato, posto sempre alla base delle relazioni di cura tra medico e paziente. Questo articolo non si riferisce solo a chi è incapace di intendere o volere perchè è in stato di coma, ma a tutti i casi in cui si procede a un esame, a una terapia, a un intervento chirurgico.

L’art. 2 riguarda la tutela di minori e incapaci, dando ai tutori il compito di tutelare la salute psicofisica e la vita della persona.

L’art. 3 norma le disposizioni anticipate al trattamento: “ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di una eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, può, con disposizioni anticipate, esprimere le proprie convinzioni e preferenze in material di trattamenti sanitari nonché il consenso o rifiuto rispetto a scelte diagnostiche o terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali. Indica altresì una persona di fiducia, che ne fa le veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e le strutture sanitarie.

Le disposizioni di cui all’art. 3 vengono archiviate nella cartella sanitaria del paziente che le ha volute e lasciate nel suo testamento di fine vita; possono essere sempre cambiate le disposizioni precedentemente scritte così come il fiduciario indicato.

L’art. 4 prevede la pianificazione delle cure tra medico e paziente anche rispetto all’evolversi delle conseguenze di una malattia cronica.

Sul piano personale posso dire che, ad esempio, se il mio papà avesse scritto un proprio testamento di fine vita, quando mi sono trovata di fronte al medico che mi chiedeva se volevo che lo operassero per farlo mangiare forzatamente, sarei stata molto più serena nel dire sì o no.  Non c’era la legge e ho dovuto decidere da sola, interpretando il suo desiderio e tutelando la sua dignità.

Forse per questo faccio fatica a capire chi considera la nutrizione e idratazione artificiale quale sostegno da somministrarsi sempre e comunque, sappiamo tutti che nutrizione e idratazione sono sostegni vitali, ma in alcune circostanze possono diventare causa di ulteriori sofferenze — come quando richiedono un intervento chirurgico o un atto medico invasivo, gravoso e sproporzionato, fino a configurarsi come “accanimento terapeutico”, cosa che richiederebbe la loro sospensione.

Faccio fatica a capire come questo possa essere motivo di contrapposizione tra laici e alcuni cattolici, anche l’etica cristiana dice no a cure mediche sproporzionate. Si tratterà invece di valutare, caso per caso e con attenzione, la situazione complessiva del malato, ma anche di rispettarlo, ascoltando la sua volontà attraverso le disposizione anticipate.

Per questo risulta importante una nuova alleanza tra il paziente, il suo fiduciario, il medico e i familiari. Il malato non sia lasciato solo a decidere la propria sorte ma interagiscano con lui innanzitutto il medico, che può discernere “con scienza e coscienza” le reali possibilità di vita e di morte del malato, e poi i familiari, le persone vicine al paziente, a cominciare da chi il malato ha eventualmente indicato come suo rappresentante nel testamento biologico. Un’alleanza nella quale il malato deve avere la priorità, con la sua sofferenza e il suo desiderio espresso, anche anticipatamente, e dove entrano in gioco la coscienza dei medici e dei familiari. Ognuno di noi non è solo “una vita” determinata da parametri biologici, ma è una persona con relazioni, comunicazione, affetti, e se c’è una qualità della vita, che non sia ridotta a quantità dei giorni.

 

On. Daniela Gasparini
Segretario della I Commissione (Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni)
www.danielagasparini.it