Torino, apre la prima casa funeraria

Ci sono un punto ristoro, un’area esterna fumatori con il pergolato e persino uno spazio per i bimbi. Ma che non sia una sala giochi come quelle dell’Ikea lo si intuisce dai murales: da un lato le nubi e il temporale, dall’altro l’arcobaleno. Sta a indicare che i momenti brutti ci sono, ma si possono superare. A differenza di qualunque nuovo locale, l’inaugurazione non coincide con l’apertura al pubblico. Perché il taglio del nastro di una casa funeraria è incompatibile con la presenza dei famigliari di un defunto. Dall’autorizzazione a oggi ci sono voluti più di due anni. Essendo il primo caso a Torino, il percorso è stato lungo, anche se in Piemonte sono già una ventina le realtà simili. In quest’ex fabbrica siderurgica abbandonata da vent’anni, al 21 di via Sestriere, si fanno gli ultimi ritocchi. Si tratta di un luogo in cui un defunto può rimanere anche due o tre giorni fino al funerale, religioso o laico che sia. Uno spazio che può sostituire le camere mortuarie di un ospedale, di una Rsa, o l’abitazione privata.

«Ci sembra un servizio che può aiutare le famiglie ad affrontare il momento del lutto, ideale per garantire una maggiore privacy» racconta Katia Ballone di Eurofunerali. E l’agenzia non è l’unica ad aver pensato a una casa funeraria: anche Giubileo aprirà la sua è questione di settimane – in corso Bramante 56. In quella di via Sestriere non ci sono simboli religiosi. Alle pareti solo colori bianco e tortora, gli spazi sono spogli e il più possibile neutri. Un po’ zen, con le piante e un gioco d’acqua. Ma in ogni stanza c’è un salottino con divanetti e monitor, su cui potranno scorrere le immagini e video del proprio caro, oppure quelle dei santi o di paesaggi.

All’inaugurazione, oggi sono stati invitati i parroci di zona, l’arcivescovo Nosiglia, l’assessore Giusta e il suo predecessore, Lo Russo, che diede le prime autorizzazioni. All’interno della struttura c’è anche una sala del commiato, in cui celebrare la funzione di ricordo della vita del caro defunto.

articolo da: La Stampa