Cimiteri d’Italia: il “Cimitero delle Fontanelle” a Napoli

Con questo primo intervento vogliamo iniziare un percorso sui temi dei cimiteri.
Argomento vasto che accompagna la storia dell’umanità e che rappresenta tanta parte delle nostre radici.
In questo percorso non pretendiamo di trattare scientificamente il tema dei cimiteri e le complesse problematiche che ne caratterizzano la vita e le progressive trasformazioni, né approfondire le relazioni tra evoluzione dei costumi nella “città dei vivi” e conseguenti rivoluzioni nell’organizzazione della “città dei morti” oggi particolarmente significative, almeno nel nostro paese, con l’esplosione della cremazione e la fine dell’elezione dei cimiteri a sola ed unica custodia dei defunti, appunto la “città dei morti”. Vogliamo più semplicemente riportare alla memoria dei lettori esempi e “perle” della storia delle sepolture per sollecitare la curiosità e la sete di informazione e conoscenza, primo e fondamentale elemento per salvare una tradizione ed una storia di grande prestigio e valore.

IL CIMITERO DELLE FONTANELLE

Oggi, appunto, parliamo del “Cimitero delle Fontanelle” di Napoli aiutati anche dalla cronaca di questi giorni che ha visto riproporre il rapporto problematico tra la proprietà del Cimitero, unitamente alle “Catacombe di S. Gennaro”, il Vaticano, e la cooperativa “La Paranza” dei giovani del Rione Sanità che gestisce da anni questa struttura.

Il Cimitero delle Fontanelle si trova all’estremità occidentale del vallone naturale della Sanità, uno dei rioni di Napoli più ricchi di storia e tradizioni, appena fuori dalla città greco – romana, nella zona scelta per la necropoli pagana e più tardi per i cimiteri cristiani. Il sito conserva da almeno quattro secoli i resti di chi non poteva permettersi una degna sepoltura e, soprattutto, delle vittime delle grandi epidemie e pestilenze che hanno più volte colpito la città nei secoli passati.

In quest’area, situata tra il vallone dei Girolamini a monte e quello dei Vergini a valle, erano dislocate numerose cave di tufo, utilizzate fino al 1600 per reperire il materiale, il tufo appunto, per costruire la città.

Lo spazio interno alle cave di tufo fu usato a partire dal 1656, anno della peste, che provocò almeno trecentomila morti, fino all’epidemia di colera del 1836, per collocare i cadaveri in carenza di altri spazi idonei. Le cave, quindi, hanno offerto la soluzione più facile per deporre i cadaveri, e soprattutto, i cadaveri delle famiglie meno abbienti che non trovavano posto nelle chiese ed ambienti “sacri”.

La grande cappella-ossoteca della navata centrale con il Sacro Cuore di Gesù.

Le cave, poste a monte del Rione Sanità e ai piedi della collina erano soggette ad allagamenti ed inondazioni. Una di queste, particolarmente violenta, ha trascinato fuori dalle grotte i resti dei cadaveri lungo i percorsi dell’acqua, cioè lungo le strade del rione. Allora le ossa furono ricomposte nelle grotte e furono costruiti un muro ed un altare conferendo al luogo la destinazione di ossario della città.

Le Fontanelle contengono i resti ossei di decine di migliaia di cadaveri accumulatisi nei vari secoli. Nel marzo 1872 il cimitero fu aperto al pubblico e affidato dal Comune al canonico Gaetano Barbati, ritenuto erroneamente parroco di Materdei, il quale, con l’aiuto del Cardinale Sisto Riario Sforza, eseguì una sistemazione dei resti secondo la tipologia delle ossa (crani, tibie, femori) e organizzò a mo’ di chiesa provvisoria la prima cava, in attesa che fosse costruito un tempio stabile.

Il cimitero è scavato nella roccia tufacea gialla della collina di Materdei. È formato da tre grandi gallerie a sezione trapezoidale, in direzione N-S, con un’altezza variabile tra i 10 e i 15 m e lunghe un centinaio di metri collegate da corridoi laterali. Queste gallerie, per la loro maestosa grandezza, sono chiamate navate come quelle di una basilica. Ogni navata ha ai propri lati delle corsie dove sono ammucchiati teschi, tibie e femori e ha un proprio nome: la navata sinistra è detta navata dei preti perché in essa sono depositati i resti provenienti dalle terresante di chiese e congreghe; la navata centrale è detta navata degli appestati perché accoglie le ossa di quanti perirono a causa delle terribili epidemie che colpirono la città (la peste su tutte, in special modo quella del 1656); infine la navata destra è detta navata dei pezzentielli perché in essa furono poste le misere ossa della gente povera.

Altri crani ammassati lungo una parete.

Da allora è sorta una spontanea e significativa devozione popolare per questi defunti, nei quali i fedeli identificano le anime purganti bisognose di cura ed attenzione. Alcuni teschi furono quindi “adottati” da devoti che li allocarono in apposite teche di legno, identificandoli anche con un nome e con una storia, che affermavano essere svelati loro in sogno. Il sogno rappresenta l’espressione del contatto tra “l’anima pezzentiella e chi l’ha adottata” e la possibilità di crescita di una vera e propria relazione: io prego per te e per avvicinarti al paradiso, tu mi ricambi con altri beni, la guarigione, la realizzazione di un desiderio (matrimonio, nascita di un figlio,…), i numeri del lotto, …. Se la relazione è fruttifera io ti curo ed accudisco altrimenti si passa ad altre scelte: scelgo un’altra “capuzzella” e ricolloco quella impotente con il volto rivolto alla parete per segnalare la sua impotenza ad altri vivi desiderosi di adottare una capuzzella.

Per lunghi anni, il cimitero è stato teatro di questa religiosità popolare fatta di riti e pratiche del tutto particolari.

Alcune capuzzelle famose:

La leggenda del Capitano

Il cranio del Capitano, attorno al quale ruotano diverse leggende.

Il cranio del Capitano, attorno al quale ruotano diverse leggende.

La prima versione ci racconta che una giovane promessa sposa era molto devota al teschio del capitano, e che si recava spesso a pregarlo e a chiedergli grazie. Una volta il fidanzato di lei, scettico e forse un po’ geloso delle attenzioni che la sua futura moglie dedicava a quel teschio, volle accompagnarla e portandosi dietro un bastone di bambù, lo usò per conficcarlo nell’occhio del teschio (da qui l’aition dell’orbita nera), mentre, deridendolo, lo invitava a partecipare al loro prossimo matrimonio.

Il giorno delle nozze apparve tra gli ospiti un uomo vestito da carabiniere. Incuriosito da tale presenza, lo sposo chiese chi fosse e questi gli rispose che proprio lui lo aveva invitato, accecandogli un occhio; detto ciò si spogliò mostrandosi per quel che era, uno scheletro. I due sposi e altri invitati morirono sul colpo.

L’altra versione raccolta da Roberto De Simone, mette in scena una leggenda nera popolare: un giovane camorrista, donnaiolo e spergiuro, aveva osato profanare il cimitero delle Fontanelle, ivi facendo l’amore con una ragazza. A un tratto sentì la voce del capitano che lo rimproverava ed egli, ridendosene, rispose di non aver paura di un morto. Alle nuove imprecazioni del capitano, il temerario giovane lo aveva sfidato a presentarsi di persona, giurando ironicamente di aspettarlo il giorno del suo matrimonio (e intanto giurando in cuor suo di non sposarsi mai). Però il giovane, dimentico del giuramento, dopo qualche tempo si sposò. Al banchetto di nozze si presentò tra gli invitati un personaggio vestito di nero che nessuno conosceva e che spiccava per la sua figura severa e taciturna.

Alla fine del pranzo, invitato a dichiarare la sua identità, rispose di avere un dono per gli sposi, ma di volerlo mostrare solo a loro. Gli sposi lo ricevettero nella camera attigua, ma quando il giovane riconobbe il capitano fu solo questione di un attimo. Il capitano tese loro le mani e dal suo contatto infuocato gli sposi caddero morti all’istante.

Il cranio di donna Concetta, sempre lucido, tanto che una leggenda narra che ciò è dovuto al “sudore delle anime del Purgatorio”.

Donna Concetta: ‘a capa che suda

Un’altra capuzzella “di spicco” nel cimitero delle Fontanelle è quella di donna Concetta, più nota come ‘a capa che suda.

Il cranio di donna Concetta, sempre lucido, tanto che una leggenda narra che ciò è dovuto al “sudore delle anime del Purgatorio”.

La particolarità di tale teschio, posto all’interno di una teca, è la sua lucidatura: mentre gli altri crani sono ricoperti di polvere, quest’ultimo è invece sempre ben lucidato. Ciò forse avviene perché raccoglie meglio l’umidità del luogo sotterraneo, che è stata sempre interpretata come sudore: “Se domandate ai devoti vi diranno che quell’umidità è sudore delle anime del Purgatorio”.

Gli umori che si depositano su questi resti sono ritenuti dai fedeli acqua purificatrice, emanazione dell’aldilà in quanto rappresentazione delle fatiche e delle sofferenze cui sono sottoposte le anime.

Secondo la tradizione, anche donna Concetta si presta a esaudire delle grazie; per verificare se ciò avverrà, basta toccarla e verificare se la propria mano si bagna.

Per visitare Le Fontanelle: si consiglia di affidarsi ai giovani della cooperativa “La Paranza”, particolarmente bravi e disponibili ed unire questa visita a quella delle Catacombe di S. Gennaro, con partenza da Via Capodimonte, 13. In una mattinata si potrà avere una visione ampia e di particolare interesse sulla evoluzione del sistema sepolcrale della realtà napoletana.