Il lutto perinatale è un vero lutto?

È stato pubblicato da “Si può dire morteuno spazio di riflessione per condividere il dolore, il morire e il lutto” una testimonianza da Erika Zerbini, autrice del blog www.luttoperinatale.life su un tema profondo come è quello della perdita di un bambino prima della sua nascita.  Il racconto dell’Autrice è toccante e vi invitiamo a leggerlo.

 

Il lutto perinatale è un dolore profondo causato dalla morte di un figlio, avvenuta durante i mesi della sua attesa o nel primo periodo dopo la sua nascita. È un’esperienza che ho affrontato due volte e che ho avuto bisogno di esplorare a fondo.

Mi dispiace, il battito non c’è più”. In genere è con queste parole che è dato l’annuncio della morte. Una frase che ho compreso essere ormai di rito in queste circostanze. Non è pronunciata la parola morte. Non è pronunciata la parola figlio, né mamma, né papà, inesistente la parola famiglia.

Sulle prime è un colpo durissimo, come se si venisse fisicamente percossi ripetutamente, fino in fondo all’anima. Stordimento, vertigine, disorientamento, sono le iniziali sensazioni che ho avvertito. “E ora?”, la prima domanda che ho posto. Mia figlia era nel mio grembo da 21 settimane, non mi restava che partorirla, così come era. No, non partorirla in effetti, piuttosto espellerla. Ho atteso tre giorni per poter espellere il materiale abortivo, intanto ho portato in giro una pancia piena di morte: sono stata una tomba.

Lo stordimento del principio è diventato il dolore acuto e potente delle ossa rotte dopo le botte. Finché mia figlia è uscita da me in una sala parto vera, mentre mio marito mi teneva la mano e l’ostetrica l’aspettava là, con le braccia pronte, lo sguardo attento e la testa che spuntava fra le mie ginocchia.

Il giorno seguente siamo usciti da soli dal luogo in cui la vita nasce, mentre la nostra era svanita. “Dove la metto?”, me lo chiedevo mentre mi aggiravo fra le stanze della mia casa. “Tutto questo silenzio, queste cose che non servono più a nessuno, questo corpo che non ha saputo far vivere, questo figlio che non c’è più… ma questo figlio c’è mai stato?

Ho cercato sul web una traccia di quel che ci era accaduto, speravo di trovare una formula scaccia dolore. Ho trovato queste due parole: lutto perinatale. Un vero e proprio mondo a parte, fatto di figli speciali e madri speciali; giorni del ricordo che scorrono sulle home page, nuovi figli, detti arcobaleno, che portano in loro lo scotto del lutto. Non un lutto qualunque, bensì il lutto perinatale. Un lutto particolare che viene da una morte indicibile, irraccontabile, per i più inesistente.

In effetti una morte con alcune peculiarità: è la morte di un figlio che non è nato, o se è nato non è vissuto, o se è vissuto lo ha fatto per talmente poco tempo che la società non lo ha ancora investito dello status di figlio vero. È una morte che talvolta avviene dentro: dentro il corpo della mamma. Un corpo che tradisce, una madre che non assolve al suo compito, una donna che perde il suo valore perché non sa fare ciò per cui è nata.

È una morte che non ha le parole della morte, forse sembra che usando le parole della morte si procuri perfino più dolore. Così questa morte assume le parole della malattia: va risolta, guarita. Ed è sistemata quando la donna esce dall’ospedale senza il corpo estraneo che poteva mettere in pericolo la sua esistenza. Quando in verità una famiglia esce dall’ospedale mutilata nel suo intimo e nella sua struttura.

Quale fatica è stata concederci di abbandonare noi stessi al dolore che provavamo. Un dolore incompreso, solitario, invisibile. Quale fatica è stata concederci di accedere al percorso della morte e i suoi riti, per i quali abbiamo dovuto fare precisa richiesta, come se stessimo usurpando la scena ai decessi, quelli veri. Quale fatica è stata, per noi, mettere insieme le sensazioni e in atto i gesti, per poi scoprire che tutti quei gesti hanno permesso alle sensazioni di fluire e ci hanno condotto verso la ricostruzione della nostra famiglia mutilata, eppure viva, poi addirittura speranzosa, ancora dotata del coraggio e la spinta vitale necessari per proseguire nella nostra esistenza con piena soddisfazione.

Offrire a questa morte le parole della morte significa legittimare la vita di quel figlio, il dolore della sua famiglia e riconoscerle il diritto di essere in lutto. Il percorso del lutto prevede delle tappe, è preludio di trasformazione, porta con sé il valore del tempo necessario per compiere il suo percorso. Offrire a questa morte le parole della morte, significa legittimarla al lutto, significa che l’aggettivo perinatale non lo ha infine snaturato: si tratta di un lutto vero.